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giovedì 28 maggio 2020

L'anno scolastico alla fine

Siamo ormai agli sgoccioli di questo anno scolastico 2019-2020, un anno che resterà impresso nelle nostre menti per molto tempo, diverso da quelli passati, che forse sarà un tema che troveremo nei futuri libri di storia e che verrà trattato durante un’interrogazione o una verifica dalle generazioni prossime.
Parlando di me, quest’anno ho affrontato il terzo anno di scuola superiore, il più difficile e temuto fra i cinque da molti, sia per i temi trattati e sia per la sua importanza.
Esso rappresenta un anno di transizione, un ponte che ci porta verso il percorso finale poiché alla sua conclusione, potremo ammirare i nostri obiettivi raggiunti e le nostre difficoltà incontrate, con la consapevolezza di essere maturati.
Nessuno certamente avrebbe potuto pensare all’avvento di una situazione del genere, che ci ha cambiato sia nel modo di agire e soprattutto di pensare.
Molti, incluso me, hanno sfruttato questo periodo per concludere qualcosa di incompleto o per dedicarsi ad attività diverse.
La salvezza di questo periodo è stata sicuramente l’esistenza della tecnologia avanzata.
In questo periodo storico la didattica a distanza, senza dubbio, sembra essere stata l’unica soluzione possibile per dare una certa sicurezza almeno in ambito scolastico, ma che è risultata, a volte impossibile da mettere in pratica: la nostra nazione non è attrezzata, sia per le tante differenze esistenti su tutto il territorio (come le connessioni internet non a tutti garantite o le lezioni agevoli per chi ne possiede una normale o poco veloce), sia per la mancanza di formazione per molti docenti sul come utilizzare alcuni siti e alcune applicazioni. Non ci sono i presupposti per garantire un completo diritto all’istruzione per tutti.
Riguardo le attività fornite dai nostri docenti, trovo queste ultime innovative e originali  mentre per quanto riguarda le valutazioni adottate, trovo quest’ultime giuste ed eque, anche se alcune volte mi sono trovato in disaccordo con alcuni voti o commenti sulle mie esposizioni orali o compiti scritti.
Naturalmente, trattandosi di didattica a distanza, le valutazioni non possono essere molto alte, ma ritengo anche giusto premiare con un’eccellenza un alunno/a che ha lavorato duramente tutto l’anno, mettendoci la propria passione e la propria originalità.
Io per esempio ho cercato di essere il meno banale possibile in tutto ciò che ho svolto fino ad ora, impiegando molto tempo e anche tanto sacrificio.
Le difficoltà non sono di certo mancate; come già scritto in precedenza, ci sono differenze che variano da alunno ad alunno, causando una situazione di disagio per
chi ha poca conoscenza nell’ambito informatico o per chi magari non possiede attrezzature adatte per assistere ad una video-lezione.
Per mia fortuna, avendo una base informatica e attrezzature valide per il regolare svolgimento della didattica, ho riscontrato poche difficoltà.
Di certo ci sono stati sia aspetti positivi che negativi riguardo al lavoro svolto: non mi soffermo più di tanto riguardo gli aspetti negativi e sulle difficoltà perchè già elencate sopra, ma più che altro vorrei soffermarmi sugli aspetti positivi.
Penso che questa DaD sia stata molto utile e meno impegnativa rispetto alle lezioni a scuola; l’aspetto che ho amato più di tutti è stato sicuramente la comodità, avere la “scuola a due passi” è stato un vantaggio.
Inoltre ho avuto molto più tempo per gestirmi meglio: le meno ore presenti sull’orario hanno fatto sì che trovassi maggiore spazio durante la mia giornata: sono riuscito a gestire scuola, allenamento e diverse attività in modo impeccabile ed ordinato.
Un altro aspetto positivo sono sicuramente le competenze acquisite, cosa che ritengo più importante di una valutazione con voto: ho riscoperto il piacere e la passione per l’imparare non solo per prendere un voto alto, ma soprattutto per acquisire ciò che studio.
Se parlo della scuola, ciò che mi manca sono i contatti umani sia con gli alunni che con i professori; la lettera del nostro nome o una telecamera di un pc è completamente diversa da un’espressione o una risata a scuola.
Diciamo che alcuni giorni ho provato un pò di nostalgia a ripensare sia ai momenti belli e divertenti ma anche a quelli brutti e drammatici.
Spero di ritornare a giocare e divertirmi in palestra con i miei compagni di classe al più presto.
Cristian Lanzi classe III AFM

la storia

Quest’anno è stato particolare, diverso, ambiguo e strano. Siamo stati tutti catapultati in una nuova dimensione, senza il nostro consenso o consapevolezza. Ormai da svariati mesi stiamo affrontando una realtà distante dalla monotonia quotidiana. Le nostre azioni, giornate, passatempi sono cambiati drasticamente. Costretti a rimanere tra le mura di casa e a non avere un rapporto o dialogo concreto con gli altri. La scuola, quindi, ha agito autonomamente, sviluppando inattesi mezzi di comunicazione per proseguire le lezioni a distanza. Le piattaforme adottate, ma soprattutto le varie strategie attivate si incentrano sull’importanza della scuola, anche durante questi gravi avvenimenti. Abbiamo avuto la possibilità di fare le lezioni online, con le videoconferenze, di inviare i compiti e di poter vedere i nostri insegnanti e compagni di classe tramite uno schermo.  Le nostre solite sveglie alle sei del mattino, l’ansia di arrivare tardi a scuola, incontrare i nostri amici, essere interrogati alla lavagna, andare in palestra a giocare a pallavolo, la felicità provata quando manca un docente, camminare lungo i corridoi … sono eventi distanti e, oggi,astratti. Adesso, invece, ci siamo dovuti adattare ed abituare alla “visione tecnologica” delle persone che abbiamo conosciuto nella sede scolastica e con cui stiamo fronteggiando questa esperienza. I professori ci inoltrano gli avvisi e i compiti attraverso dei messaggi e le interrogazioni e le verifiche si effettuano online. La tecnologia, negli ultimi decenni, è un mezzo rilevante ed importante ed è stata utile durante le circostanze attuali.  La scuola ha subito una metamorfosi. La visione reale, che si realizza solitamente all’istante con i nostri occhi in aula, adesso è diventata superflua. Invece di osservare chiaramente i professori, ora li vediamo con le varie interruzioni causate dalle problematiche legate alla connessione internet. Inoltre, dobbiamo subire molte ore dinanzi ad uno schermo e ciò nuoce alla nostra vista, provocando conseguenze.  I criteri di valutazione si basano principalmente sulla nostra partecipazione, sui compiti che svolgiamo da soli ed inviamo, sulle interrogazioni online ( sicuramente diverse e più critiche ). È subentrato un nuovo modo di giudicare la nostra interazione: prima ad esempio venivamo valutati per ogni cosa, ora invece una delle cose più importanti è se frequentiamo o no le lezioni a distanza.                         
Io, durante questo frangente, mi sono sentita assalita dalle mille insicurezze e ansie per la scuola. Ho continuato ad impegnarmi, come ho sempre fatto perché secondo me l’apprendimento è essenziale nella vita, ho svolto tutti i compiti e sono stata sui libri ogni giorno a tutte le ore. Ho perso poche lezioni e non ho preso dei brutti voti. Ma, nonostante ciò, col passare del tempo, mi sono stancata sempre di più e ora non vedo l’ora che quest’anno finisca. Alcuni prof ci hanno aiutato e hanno compreso che non stiamo affrontando un bel periodo, altri invece di meno. Inoltre i compiti sono aumentati e con essi anche le ore con il cellulare per presentarsi alla video lezione, per inviare i compiti online o per fare gli elaborati e i progetti sul computer. Io, in  generale, sono una persona che non trascorre molte ore con i mezzi tecnologici quindi, mi sono ritrovata spesso con il mal di testa o con il dolore agli occhi. Però, a parte questi avvenimenti, a parer mio, la scuola online è più facile e semplificata. Invece di sei o sette ore di lezione, ne facciamo quattro. Alcuni giorni cominciamo alle nove del mattino, quindi possiamo svegliarci più tardi del solito. In più ognuno si trova nella propria casa, quindi si crea un’aria più espansiva. Possiamo osservare le stanze dei nostri amici e ci capita di sentire le voci dei familiari dei nostri compagni o di dover interrompere per qualche secondo la lezione perché la prof è stata chiamata dai figli o deve sbrigare un problema. Quindi, le lezioni, sotto questo punto di vista, sono più reali e aperte.                                                      
  Durante questi mesi, le insegnanti hanno continuato a spiegare i vari argomenti del secondo anno e ho appreso nozioni nuove, arricchendo la mia cultura e conoscenza. Ho scoperto cosa sono le caste e come viene suddivisa la popolazione indiana. Quanto fosse crudele l’imperatore Nerone. Ho affrontato un altro anno senza avere insufficienze o difficoltà in matematica, alle medie invece ero sempre sotto il cinque. Ho ampliato il mio vocabolario di inglese e francese ma devo per forza migliorare la mia pronuncia, a volte orrida. Ho conosciuto maggiormente Gandhi e Mandela, due grandi protagonisti della storia contemporanea. Ho sviluppato i miei pensieri sui compiti scritti e argomentativi. E tante altre cose che sono risultate utili ed efficienti.                                                      Ho sentito la mancanza della mia compagna di banco, della felicità e serenità dopo un’interrogazione, mi è mancato uscire dall’aula, insieme alle mie amiche, e aspettare l’arrivo dell’insegnante. Parlare a bassa voce e ridere, senza farsi sentire, durante la lezione. Incontrare le mie amiche alle sette e cinquanta del mattino allo stradone, il nostro solito posto. Quest’anno è, ormai, giunto al termine e il prossimo ricominceremo, forse, in modo simile, con la didattica a distanza e con le lezioni a scuola. I mezzi di confronto saranno i soliti, ma dovremmo continuare ad indossare le mascherine e a rispettare le regole. Chissà se utilizzeremo nuovi strumenti per la scuola. Forse potremmo fare lezione in aula lim, in palestra o nei laboratori, cosi persisterà la distanza.                                                                              
 Però, quando ritorneremo realmente alla nostra quotidianità? Quando smetteremo di essere coperti (dalle mascherine) e quando potremmo esternare le nostre emozioni ed espressioni, senza nasconderci? Non ci resta che sperare in un futuro migliore. Presto riprenderemo in mano le nostre vite, i nostri obiettivi e affronteremo nuove esperienze, nuove relazioni, scopriremo nuove cose e supereremo le nostre paure e, sicuramente, sarà tutto più bello e umano.        

 LORENA PASCALI, CLASSE 2AT.

Lettera alla Scuola

Cara scuola, in questi mesi difficili la mancanza si è sentita, perché potranno dire che è noioso andare a scuola e stare 7 ore sui banchi ma è proprio lì che conosciamo le amiche, cresciamo e ci mettiamo a confronto l’uno con l’altro.
È stato un distacco dalla quotidianità più forte che se lo avessimo deciso noi di distaccarci dalla scuola e dalla nostra normalità; perché tu, cara scuola, non sei solo corridoi e lavagne, sedie e banchi, scale e cortili, lezioni e interrogazioni: sei il punto d’incontro, e a volte di scontro, tra vite, menti, cuori e caratteri. 
Sei la culla di relazioni più o meno durature e segnanti, di sogni e idee che nascono e si perfezionano, sei il luogo che unisce i grandi di oggi e quelli di domani.
La scuola è una palestra di crescita, in cui ognuno a suo modo interagisce con regole da rispettare, aspettative da soddisfare, giudizi da confermare o smentire e ostacoli da superare nel presente, per raggiungere il proprio futuro imparando dal passato.
Purtroppo questo virus, ci ha portato a trovarci lontani dai nostri compagni di banco, dai professori, dalle risate e dalle paure; ci siamo adattati con la didattica a distanza e al posto del professore vediamo uno schermo ascoltando una voce. 
Parlano e noi, connessi ascoltiamo; non è la stessa cosa. 
Dove sono finite le alzate di mano quando non capiamo qualcosa? Dove sono finiti gli sguardi tra compagni e professori? 
Cara scuola, adesso che non ti abbiamo ti rimpiangiamo, quando ci vedremo? 
A settembre? A gennaio? Chi lo sa…
La scuola per noi giovani era anche un momento di svago per scappare dai problemi famigliari, un momento in cui potevamo parlare e sfogarci con i professori perché dopo i nostri genitori ci sono loro che ci vivono e ci vedono crescere giorno dopo giorno.
Un pensiero va anche al preside che ci ha supportati sempre con una parola dolce, di confronto per non scoraggiarci e per renderci capaci di continuare a costruire i nostri sogni, ai collaboratori e alle collaboratrici scolastiche che ci hanno compreso  quando cercavamo di non seguire qualche lezione o scampare da qualche interrogazione consentendoci di restare qualche minuto sotto la loro sorveglianza. 

È stato un anno strano ma che ricorderemo per sempre, ci ha lasciati un segno e ci ha fatto crescere ed apprezzare tutto ciò che avevamo e che forse adesso non potremmo più avere. 
Marica Angilletta III AT

martedì 12 maggio 2020

Epidemie e letteratura


La parola peste deriva dal latino “pestis” che vuol dire peggiore e rappresenta ancora oggi il simbolo assoluto di un morbo mortale.
Secondo gli studiosi, l’arrivo della peste, fu dovuta a causa dello sbarco delle navi che provenivano dal porto di Caffa in Crimea verso il porto genovese nel 1347.
Nel giro di due anni, la peste raggiunse l’Europa mediterranea e continentale; nel 1351 anche la Russia e l’estremità orientale erano ormai invase dal contagio.
Questa prima ondata della pandemia ha provocato la morte di un terzo della popolazione europea.
Esistevano due tipi di peste: quella bubbonica e quella polmonare.
La peste bubbonica, prendeva questo nome perché apparivano i bubboni prima rossi, poi nerastri e indicavano che il contagio era avvenuto.
Quindi si trattava di un rigonfiamento nelle zone in cui sono presenti le ghiandole, quando arrivava la peste vera e propria il malato aveva febbre molto alta, completa perdita delle forze, vomito, diarrea, stato di agitazione e dolori alle braccia e alle gambe.
Se il bubbone non migliorava il malato moriva per infezione, se il bubbone si rompeva e ne fuoriusciva il liquido, la febbre calava e al malato iniziava una lunga convalescenza.
La peste polmonare era caratterizzata da un’immediata comparsa dei primi sintomi, per questo tipo di peste non veniva coinvolto il sistema linfatico ma quello respiratorio per cui il malato tossiva insistentemente espellendo muco e sangue e quindi il contagio era assicurato.
Molti autori scrissero sulla peste, come Boccaccio e Manzoni.
Ne “ I promessi sposi” Manzoni analizza le cause della peste a Milano, individuandone non solo i veicoli fisici, ma anche le circostanze che li hanno favoriti: il tentativo da parte della popolazione di negare l’esistenza del morbo, l’iniziale inazione delle autorità mediche e politiche, la loro incapacità di applicare metodi efficaci e l’isteria delle masse, con la richiesta pressante di una processione per placare Dio, che avrà l’unica funzione di promuovere ulteriormente l’epidemia.
Esso, quindi, nel narrare l’episodio condanna l’idiozia delle autorità e l’irrazionalità delle folle che sentono il bisogno di trovare un capro espiatorio nella figura immaginaria degli “untori”.
Per untore si intende la ricerca del colpevole, cioè la ricerca psicologica per dare una spiegazione verso un qualcosa di cui si ha paura e non si riesce a tenerla sotto controllo, perché nel Medioevo, si pensava che qualcuno avesse messo del veleno per inquinare l’acqua dei pozzi.
Principalmente questa epidemia derivava dalle pulci presenti addosso ai ratti, che poi, venivano contagiati anche gli altri animali e cosi via stando a contatto con gli animali venivano contagiate le persone.
La peste colpiva persone di ogni ceto e di ogni età e non si conoscevano misure efficaci per curare o prevenire il morbo, quasi tutti coloro che si ammalavano, infatti, perdevano la vita.
Le conoscenze mediche del tempo erano impotenti di fronte alla malattia.
A favore del contagio, furono anche le pessime condizioni igieniche in cui vivevano le persone all’epoca, le città erano diventate meta di numerosi cittadini in fuga.
Solo alcune misure di emergenza usarono cioè evitare i contatti con gli ammalati, pertanto furono disposti periodi di isolamento, le cosiddette quarantene.
Anche oggi, viviamo in un mondo di pandemia globale detto “Coronavirus o Covid-19” è un virus la diffusione ha avuto inizio a Wuhan in Cina nel dicembre del 2019.
Non sono ancora chiare le cause che hanno portato all’insorgere del virus.
A fine gennaio/inizio febbraio, a causa dell’elevato numero di contagi nel nord Italia, la pericolosità del virus è diventata nota a tutti e sono iniziate le prime misure ristrettive.
Essendo un virus di base influenzale, la sintomatologia è molto simile a quella di una normale influenza, ma nei casi più gravi si traduce in una sindrome respiratoria acuta che richiede il ricovero del paziente in terapia intensiva.
Tra i sintomi si include febbre alta, difficoltà respiratorie, stanchezza, debolezza, ma ogni individuo può dimostrare sintomi diversi o addirittura essere asintomatico.
Trattandosi di un virus nuovo, non esiste ancora un vaccino, anche se sono in corso le relative ricerche e sperimentazioni.
Il pericolo maggiore del coronavirus o del Covid-19 deriva dalla sua alta contagiosità, dovuta al contatto con persone malate, o con oggetti da loro toccati.
Per questo come sottolineato dalle autorità, è importantissimo lavarsi frequentemente le mani e disinfettare le superfici.
Quindi è preferibile seguire le regole ed osservare il distanziamento sociale.
La differenza tra l’epidemia della peste e la pandemia del coronavirus è la sufficienza medica e l’igiene.


Marica Angilletta III AT