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venerdì 28 novembre 2014

Ebola: la malattia si sta diffondendo

EBOLA: la malattia si sta diffondendo



Sotto le ingombranti tute protettive ci sono uomini e donne che lavorano giorno e notte per affrontare l'epidemia di Ebola in Africa Occidentale. Non esiste ancora nessuna medicina per curare i malati, nessun vaccino per proteggere le popolazioni a rischio. L'unica cosa che possiamo fare è fornire una terapia di supporto ai pazienti, per aiutarli a vincere la lotta contro il virus. È un lavoro estremamente duro, da un punto di vista sia fisico che psicologico. L’equipaggiamento protettivo si compone di diversi elementi: stivali, tuta, maschera, cappuccio, grembiule, occhiali e due paia di guanti.
Per indossare la tuta bisogna rispettare una procedura rigorosa, poiché neanche un millimetro di pelle deve essere esposto. Si entra nella zona di vestizione sempre in coppia, in modo da controllarsi a vicenda. Una volta protetti da questa “armatura” bisogna lavorare con rapidità ed efficienza, perché dopo un’ora sei zuppo di sudore. “Se Dante avesse immaginato un decimo girone infernale – dice Cokie, logista MSF - sarebbe stato questo”. Questo abbigliamento rende irriconoscibili. Molti medici e infermieri scrivono il loro nome sulla tuta per creare maggior contatto con i pazienti che in questo modo possono riconoscerli. In alternativa, utilizzano dei simboli per identificarsi e non essere mai anonimi, come dei fiori per esempio. “A volte mi viene voglia di sedere a fianco di un paziente, togliere la tuta e stringerlo tra le braccia” spiega Carlotta, infermiera italiana. “Vogliamo trasmettere ai nostri pazienti un po’ di calore. Potrebbero morire presto e noi siamo gli unici essere umani che vedranno”.




Un’assistenza di qualità consente di ridurre il tasso di mortalità dell’Ebola fino al 50%. Il 50% - un paziente su due ammessi al centro – è un risultato straordinario, soprattutto quando si salvano delle vite. Le possibilità di sopravvivenza aumentano significativamente quando i pazienti si recano con tempestività al centro al comparire dei primi sintomi. Purtroppo, questo accade molto di rado. Spesso i pazienti arrivano da noi quando si trovano già nella fase terminale della malattia. Tutti gli operatori vivono storie tragiche legate alla morte di alcuni pazienti o si trovano a prendere decisioni difficili. Il virus non risparmia nessuno, neanche i più giovani. Un terzo dei sacchi che acquistiamo per riporvi i corpi dei pazienti deceduti, è destinato ai bambini. “È la missione più difficile che abbia mai affrontato – dice Roberta, medico MSF - l’Ebola è una malattia estremamente crudele”. La frustrazione di non essere in grado di fornire assistenza a tutti è ancora maggiore quando le persone arrivano al centro in tempo ma non c’è posto per accoglierle.  I pazienti che sopravvivono sono il più forte incoraggiamento per i nostri operatori. Ogni sopravvissuto rappresenta una vittoria sulla malattia, un simbolo di gioia e speranza sia per gli altri malati, sia per i membri delle nostre équipe. Per questo motivo, la guarigione di un paziente e l’autorizzazione affinché lasci il centro sono momenti molto importanti nei centri MSF. Sono più di mille i pazienti guariti che abbiamo curato nei nostri progetti in Guinea, Sierra Leone e Liberia. Alcuni, quando sono stati dimessi, hanno ballato per la gioia. Come Mamadee e Finda! E poi c'è Deddeh che, invece di tornare a casa, ha deciso di restare nel nostro Centro a Monrovia per prendersi cura dei bambini malati rimasti orfani.
Questa malattia si sta diffondendo anche in Europa piano piano e va assolutamente fermata.

                                                                                                                                    LudAdd 

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