Prima vittima di bullismo, poi di violenza sessuale. La prima volta non ebbe il coraggio di parlare, la seconda non fu creduta. Aveva 11 anni quando due compagni di classe la trascinarono con la forza nell’aula di scienze della scuola e, tenendola distesa a terra, la denudarono e palpeggiarono pesantemente.
E quella «leggerezza» dei grandi si dimostrerà una ferita grave quanto la violenza. Perché, lo chiedo anche a voi, non credere ai bambini? Perché una ragazzina (o un ragazzino) che segnala un fatto così doloroso dovrebbe mentire?
Non sarà preso alcun provvedimento proporzionale alla gravità dell’abuso neppure a distanza di un anno, quando i genitori, informati dalla mamma di un’amichetta, si rivolgeranno al centro antiviolenza e agli psicologi della Asl. Invece, una condanna, non scritta e forse per questo ancor più devastante, nel frattempo è toccata alla piccola che chiameremo Chiara, bollata come «ragazza di facili costumi».
«Ho passato degli anni terribili — si legge nella sua testimonianza — non uscivo più di casa, la voce che circolava all’oratorio era che io ero una puttana e che ero andata con tutti e cinque».
Un incubo che non ha avuto il tragico epilogo della vicenza della ragazzina cadese di cui parla oggi Mariolina Iossa sul Corriere della Sera, forse perché qualcuno è arrivato, anche se con molto ritardo, a capire cosa stava vivendo Chiara.
È questo un caso emblematico, raccontato nei fascicoli del Tribunale dei minori e della Procura di Milano, di bullismo «non trattato, trascurato», che può sfociare in forme ancora più gravi di violenza. Uno dei tanti casi a cui si è accennato ieri, nel corso del convegno «Il fenomeno del bullismo e le nuove devianze giovanili», organizzato dai Comuni di Milano e Olbia, dalle associazioni ChiamaMilano e Prospettiva donna e dal Tribunale di Milano.
Teatro della vicenda è un quartiere della semiperiferia, un quartiere normale in un contesto sociale nient’affatto disagiato. I fatti. Vacanze di Pasqua del 2007. Chiara come tutti i pomeriggi è fuori dall’oratorio, se ne sta a chiacchierare seduta sui gradini della Chiesa. Alle cinque del pomeriggio la compagnia si scioglie e lei si dirige verso casa della nonna. Pochi passi e viene raggiunta da cinque ragazzi. Tra loro un maggiorenne e, soprattutto, il ragazzino di cui è invaghita. I cinque non le lasciano scelta. La trascinano con violenza nella cantina dell’abitazione di uno di loro. Due restano a fare da palo a turno, mentre gli altri consumano la violenza. Il resto è una sequela di minacce, telefonate e messaggi: «Non parlare». Anche quando trova la forza di confidarsi con le amiche, Chiara si sente sola, come racconterà ai pm. Nessuno la crede.
A sollevare il coperchio di questa drammatica vicenda e a strappare l’adolescente all’infamia, è una psicologa del centro di ascolto della scuola con cui Chiara, nel 2009, parlerà. Sarà lei a denunciare i cinque all’autorità giudiziaria.
Nei mesi scorsi, cinque anni dopo i fatti, il tribunale dei minori di Milano ha disposto condanne pesanti, fino a 3 anni e mezzo (con il beneficio della sospensione condizionale) per i quattro adolescenti all’epoca minorenni. Mentre il quinto è in attesa della sentenza del Tribunale ordinario-Soggetti deboli.
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