Tagli, bruciature e pratiche affini è come se inghiottissero emozioni negative troppo intense da sopportare, soprattutto la rabbia, la tristezza, la solitudine,
o pensieri negativi riguardo sè stessi, ad esempio il considerarsi dei
buoni a nulla. Così, il dolore per essersi presi le dita a martellate
prende il posto della rabbia
verso una persona che si ama e a cui non si riesce a dire quello che si
vorrebbe o del disprezzo verso se stessi perché la reazione dinanzi a
una certa situazione è stata inadeguata. È come uno stop che dà
sollievo, almeno per un po’. Tagli, bruciature, ossa rotte parlano di un dolore che la persona non
è in grado di elaborare o esprimere in modo costruttivo, su cui non
riesce a riflettere senza esserne travolta.
È come se il corpo fosse un foglio su cui disegnare la propria sofferenza:
la sofferenza psicologica diventa a volte talmente intensa che, non
avendo parole adatte a dirla, l’unico modo per non esserne schiacciati e
trovare un sollievo almeno provvisorio è esprimerla attraverso il
corpo. In psicologia, questa difficoltà nel riconoscere e descrivere a parole le proprie emozioni, nel dire come ci si sente è chiamata alessitimia. L’autolesionismo non è un tentativo di uccidersi. L’obiettivo
dell’autolesionismo non è morire e molte delle persone che si tagliano o
si bruciano intenzionalmente dicono di farlo per sentirsi vivi, per sentirsi meglio, per avere sollievo da uno stato di confusione o tensione. Tuttavia, sebbene il tentativo di suicidio e l’autolesionismo siano due comportamenti differenti, chi ricorre all’autolesionismo può avere sintomi di depressione e idee suicidarie che vanno valutati con attenzione.
Il dolore psicologico provato da una persona non è proporzionale alla gravità delle ferite che si infligge con lamette, bruciature etc. Questo significa che è il comportamento in sé che dovrebbe destare allarme.
Un tipico esempio di autolesionismo...
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