Un poeta,
nell’immaginario collettivo, è definito come ‘sognatore’. Martina Germani
Riccardi, nelle sue poesie, decide invece di essere reale, di parlare della
vita e non del cielo, di emozioni vissute, concrete e non astratte.
Sceglie di
vivere nella ‘casetta sull’albero’, piuttosto che di volare come una farfalla
dall’esistenza effimera.
La sua è
una scelta di sentimenti veri, che possono essere toccati con mano, e sono
proprio quei sentimenti a ricordarle che è viva.
È viva e
prova amore. Il suo amore è orientato verso qualcuno, certamente oltre se
stessa, e non è un amore qualsiasi, è amore come sostanza.
È viva e
percepisce dolore, perché se c’è amore c’è anche dolore, perché non si dà amore
senza passione, e dunque senza sofferenza, perché per amore vale la pena
soffrire, vale la pena soffrire per quello che rende felici. Qualche volta è
dolore che asciuga il cuore e lo rende deserto, altre volte è delusione per chi
è causa delle sue lacrime. Il dolore uccide perché è delusione, ma la delusione
si cura, con o senza consapevolezza.
Così
Martina è intera, decide lei, visto che finalmente è in grado di sapere cosa
vuole e cosa vuole essere, e cosa vuole dalla vita. Si è ritrovata, ha avuto il
coraggio di affrontarsi, confrontarsi allo specchio e fare i conti con la sua
esistenza.
Ancora succede
che si perda, ma in realtà lei sa benissimo dov’è: è che si diverte a sembrare
irraggiungibile. Le piace scombinare tutte le certezze, creare il caos,
confusione, e, in quel disordine, essere la stessa donna che rimette in ordine.
Per
ricordarsi che esiste, per affermare la sua presenza consapevole nel mondo. In
questo atto di riordinare non c’è spazio per le cose brutte e per le
chiacchere. La poesia preferisce il silenzio, l’equilibrio, tutto il resto è un
continuo flusso che sgorga dagli occhi, continue lacrime, e non c’è più tempo
per le sciocchezze che fanno solo perdere sonno prezioso.
Il sonno è
prezioso perché la mattina che lo segue è il momento in cui Martina ricomincia
da se stessa. Il sole che sorge rappresenta l’inizio della parte illuminata,
delle lunghe ore che arriveranno, ed è il momento della giornata in cui lei accetta
la realtà, senza voler essere l’eroina di una falsa rappresentazione, bensì la
persona autentica che decide di essere se stessa e di vivere quella giornata,
con tutti i suoi dubbi e le sue sorprese.
In questo
percorso quotidiano ci sono due cose che la poetessa non mette mai in
discussione: il valore dell’acqua e l’amore per la sua ragazza. Attraverso
questi due riferimenti costanti, sui quali Martina si rispecchia e si esamina, si
realizza anche il tentativo di conoscere una propria profonda identità. Si
tratta di due valvole di sicurezza, di cui la poetessa non vuole fare a meno,
perché la fanno sentire protetta dai pericoli e dal disagio della realtà
esterna. Quando Martina è in acqua, quando è con la sua ragazza, allora è come
se soltanto così fosse con la vera se stessa, è come se soltanto così
diventasse una cosa bella e ben definita.
In particolare, sotto l’acqua Martina può paradossalmente
sovrastare il mondo, sotto l’acqua è
a casa, non ha più bisogno di allontanarsi, ha ormai tutto lì davanti a sé.
Invece fuori dall’acqua, prova a nuotare tra la gente, ma a volte si riduce ad
un pesce trasparente che grida. Ovvio quindi che non le piaccia molto
stare fuori, e che non voglia essere un pesce trasparente. Ma lei continua
gridare, e grida solo le cose possibili:
quelle impossibili sono troppe, e forse appartengono al passato.
Simona Ballini
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