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giovedì 11 novembre 2021

L'estate di San Martino

di Alessandro Iodice

Un famoso detto popolare recita “l’estate di San Martino dura tre giorni e un pochino”.

La leggenda narra che un giorno d’autunno Martino usciva a cavallo da una delle porte della città di Amiens e incontrò un uomo povero e infreddolito.


San Martino si impietosì e decise di aiutare il povero. Senza pensarci due volte tagliò il suo mantello di lana per donargliene metà. Dopo quel nobile gesto, la pioggia smise e spuntò il sole, facendo diventare la temperatura più mite. Martino quella notte sognò Gesù che gli rivelò di essere lui il mendicante al quale aveva donato il mantello. Martino si convertì al cristianesimo dopo l’episodio del mantello, fu battezzato e dopo vent’anni di carriera militare divenne Vescovo di Tours.

Durante l’estate di San Martino venivano rinnovati i contratti agricoli annuali il detto “fare San Martino”, cioè traslocare, viene proprio da qui. L’estate di San Martino ha forti legami con la terra e i suoi frutti. Durante questi giorni si aprono le botti per il primo assaggio del vino nuovo.

In questi giorni si fa onore al buon cibo e all’abbondanza della campagna.

Carne alle brace e caldarroste ad Ascoli Piceno, pittule e vino nel Salento, pizza con le alici in Campania, spezzatino di carne in Abruzzo. La festa è particolarmente sentita a Venezia e dintorni, dove i bambini, armati di pentole, coperchi e mestoli, girano per le città entrando nei negozi e chiedendo caramelle e dolcetti e cantando una filastrocca. In tutta Italia si mettono a tavola piatti della tradizione come l’oca, una delle pietanze più gettonate. Questo grazie a un episodio della vita del Santo. Si racconta che quando Martino venne acclamato vescovo, l’umile prete, che voleva rimanere un semplice monaco, si nascose in un tugurio di campagna. A smascherarlo fu il gran rumore provocato dalle oche che scorazzavano per l’aia e quindi fu scoperto dai paesani e dovette accettare l’incarico.

In Sicilia è usanza mangiare i biscotti di San Martino, biscotti molto secchi e duri aromatizzati con semi di finocchio o anice. Si tratta di una antica usanza, legata ai riti dei contadini vitivinicoli, che in questo periodo vedevano giungere a maturazione il vino novello. Gli uomini davano la stura alle botti e si assaggiava il vino e le donne arrivavano con i biscotti da poco sfornati e li inzuppavano nel vino.

Alessandro Iodice

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