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giovedì 12 marzo 2015

AUTOLESIONISMO

Tagli, bruciature e pratiche affini è come se inghiottissero emozioni negative troppo intense da sopportare, soprattutto la rabbia, la tristezza, la solitudine, o pensieri negativi riguardo sè stessi, ad esempio il considerarsi dei buoni a nulla. Così, il dolore per essersi presi le dita a martellate prende il posto della rabbia verso una persona che si ama e a cui non si riesce a dire quello che si vorrebbe o del disprezzo verso se stessi perché la reazione dinanzi a una certa situazione è stata inadeguata. È come uno stop che dà sollievo, almeno per un po’. Tagli, bruciature, ossa rotte parlano di un dolore che la persona non è in grado di elaborare o esprimere in modo costruttivo, su cui non riesce a riflettere senza esserne travolta.
È come se il corpo fosse un foglio su cui disegnare la propria sofferenza: la sofferenza psicologica diventa a volte talmente intensa che, non avendo parole adatte a dirla, l’unico modo per non esserne schiacciati e trovare un sollievo almeno provvisorio è esprimerla attraverso il corpo. In psicologia, questa difficoltà nel riconoscere e descrivere a parole le proprie emozioni, nel dire come ci si sente è chiamata alessitimia. L’autolesionismo non è un tentativo di uccidersi. L’obiettivo dell’autolesionismo non è morire e molte delle persone che si tagliano o si bruciano intenzionalmente dicono di farlo per sentirsi vivi, per sentirsi meglio, per avere sollievo da uno stato di confusione o tensione. Tuttavia, sebbene il tentativo di suicidio e l’autolesionismo siano due comportamenti differenti, chi ricorre all’autolesionismo può avere sintomi di depressione e idee suicidarie che vanno valutati con attenzione.
Il dolore psicologico provato da una persona non è proporzionale alla gravità delle ferite che si infligge con lamette, bruciature etc. Questo significa che è il comportamento in sé che dovrebbe destare allarme.
 Un tipico esempio di autolesionismo...  
                                                            

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